La questione insularità in Costituzione











Anche la Trexenta è coinvolta dal movimento referendario che da diversi mesi raccoglie le firme in giro per la Sardegna. Il Partito dei Riformatori Sardi propone un referendum per ottenere il riconoscimento del principio di insularità della Sardegna nella Costituzione italiana.

Tale richiesta s’ispira all’articolo 174 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che recita: “L’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un’attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”.

La Sardegna pare avere tutte le carte in regola per rientrare tra le “regioni meno favorite” citate dal Trattato. Infatti, nemmeno due anni fa il Parlamento Europeo ha riconosciuto il principio di insularità della Sardegna, votando a favore della mozione presentata dall’Eurodeputato sardo Salvatore Cicu. In altre parole l’Europa già da circa due anni riconosce la situazione di svantaggio, la Sardegna è già un’isola agli occhi di Bruxelles.

Allora perché questo Referendum? Ora che Bruxelles è stata informata su come la Sardegna sia circondata dal mare c’è bisogno di ribadirlo anche a Roma? Per i promotori del referendum è necessario che questo principio venga inserito nella Costituzione italiana. In tal modo, tutte le volte che lo Stato avrà a che fare con la Sardegna dovrà obbligatoriamente tenere conto del principio di insularità con tutto quello che ne consegue. A tal fine si richiede, nientemeno, che una revisione costituzionale. Come tutti sanno, mettere mano alla Costituzione italiana è però impresa ardua. A differenza delle leggi ordinarie la sua modifica impone, infatti, il procedimento previsto dall’art. 138, che si può concludere con un referendum su base nazionale (nel quale difficilmente i cittadini del “continente” si schiereranno a favore dei sardi e degli altri isolani). La strada della modifica costituzionale appare dunque decisamente impervia: tanto più se esistono strumenti per far valere gli stessi diritti in altri modi e sedi.

Ad esempio: gli attivisti del referendum premono molto sul tema della continuità territoriale per raccogliere firme e consensi. Anzi quasi tutto il discorso ruota attorno a questo tema. Sei d’accordo che la continuità territoriale venga rinforzata? Basta ai giovani costretti ad emigrare! Basta ferrovie da terzo mondo! Vuoi più aerei e navi frequenti a basso costo? Tutti sono d’accordo sull’avere una migliore continuità territoriale e un miglior sistema di trasporti. Ovvio. Ma la continuità territoriale è un diritto che è già stato riconosciuto alla Sardegna. Si tratta di difenderlo, facendo anche leva sul principio di insularità riconosciuto dall’Europa.

Il problema non può essere modificare o meno la Costituzione per aggiungere che la Sardegna è un’isola. Allo stato attuale il vero problema è lo scarso peso politico della Sardegna nei confronti dello Stato, che non è dovuto solo al fatto che i Sardi sono pochi e circondati dal mare, piuttosto al fatto che l’attuale classe politica e quelle precedenti, essendo legate mani mani e piedi alle logiche dei grandi partiti nazionali, non sono state in grado di rappresentare il popolo e i suoi bisogni. Il problema dei Sardi dev’essere quello di scegliere con più perizia chi deve difendere gli interessi dell’isola. Servono persone oneste, coraggiose e preparate con testa e cuore focalizzati sulla Sardegna. Esistono vari esempi virtuosi in questo senso specialmente nelle amministrazioni locali e la nostra zona non fa eccezione. Si tratta di riconoscere e valorizzare queste eccellenze ogni volta che si presenta l’occasione.

Enrico Lecca